Il sergente nella neve
Rigoni Stern si trova in un caposaldo sul fiume Don. Sotto al caposaldo scorre il fiume spesso gelato e sulla riva opposta c’è un caposaldo russo. È inverno ed il freddo congela le armi. Le giornate sono monotone: si cerca petrolio per le lampade, si ricontrollano le armi, si fa la polenta che riscalda (un po’) i soldati e ricorda le montagne italiane sulle quali sono cresciuti tutti i reggimenti alpini. A volte è tutto interrotto dal fuoco dei cecchini russi, da brevi incursioni nemiche e da combattimenti con i mortai. Ognuno riceve posta e poiché è Natale anche auguri, cartoline e pacchetti di sigarette e cognac. La situazione non è delle più facili fino a quando il tenente si ammala e le munizioni per i mortai finiscono. A questo punto le infiltrazioni russe iniziano ad essere più frequenti. La pericolosità dei russi aumenta tanto che Rigoni si salva per miracolo da una pallottola che gli s’incastra nella canna del moschetto. Vedendo che le cose peggiorano, arriva l’ordine della ritirata. I battaglioni sono divisi in gruppi che a turno dovranno lasciare il caposaldo e coprire le spalle al gruppo successivo. Tutto procede secondo i piani ed i Russi non accortisi della ritirata non attaccano il caposaldo. Quando viene però il momento di lasciare il caposaldo per Rigoni, egli si blocca, rimane stordito; in quel posto egli lascia molti suoi compagni, molti ricordi e per sfogarsi prima di andarsene scarica un paio di caricatori di un mitragliatore e lancia delle granate. Il gruppo in ritirata si incammina verso le gelide steppe russe nella speranza di non essere trovato dai russi.