L’astronave & Vil Coyote
«Quando cresci in un quartiere che si chiama Caserotte, al margine estremo della Grande Galassia, non hai molte possibilità di riuscire a combinare qualcosa. Diventerai quasi sicuramente un buono a nulla, un teppista, un disgraziato.
Noi eravamo così in effetti: Big G, dico, e DJ e Lazarus e i gemelli Cassio e Bruto e il sottoscritto, soprannominato Vil Coyote, orecchie lunghe, coraggio zero. Passavamo il tempo a non andare a scuola, a sentire hip-hop, a vedere TV, a fare gli sbruffoni, ad annoiarci, a sognare il giorno che saremmo riusciti ad attraversare per sempre il ponte sul Lambro (un fiume maleodorante ricoperto di schiume chimiche) che rappresentava il collegamento con la civiltà e con un’altra vita. Ma quel ponte, lo sapevamo, non lo attraversava quasi nessuno.
E poi c’era il prete, don Ferro. Con un’idea fissa: fare di noi disgraziati degli adulti per bene, insegnarci la legalità, come diceva lui.
Ma poi avvenne il miracolo, ogni tanto i miracoli avvengono anche nei quartieri dimenticati da Dio e dagli uomini: incontrammo l’Astronave, un lungagnone pallido che veniva da qualche paese dell’Est, come si chiamano, un mangiapatate, insomma. Nato per giocare a basket.» Un romanzo di iniziazione che parla di quanto è difficile diventare degli adulti per bene se si nasce in certi posti, ma anche di amicizia, di vigliaccheria, di stupidità, di emarginazione e di basket.
Raccontato con un tono tra il realistico e l’ironico e con un finale ambiguo e agrodolce (più agro che dolce).