ORO
Lena ha tredici anni e vive in un orfanotrofio di Varsavia. Figlia di ignoti, ha alle spalle un’infanzia trascorsa passando da una famiglia all’altra, e la convinzione radicata di essere sbagliata, di portare sfortuna, di non poter essere realmente amata. Dietro il suo sguardo cinico sul mondo e sulle persone che lo abitano, Lena nasconde la sua fragilità, la sua paura di essere nuovamente delusa, di restare ancora una volta sola. I genitori passati, i tentativi falliti, li ricorda tutti: la fanatica religiosa, convinta che lei fosse posseduta dal demonio; quelli che l’avevano abbandonata al parco per testare la sua capacità di reazione; il padre morto in un incidente stradale mentre le portava una torta di compleanno e la moglie inconsolabile che l’aveva accusata di averlo ucciso.
La felicità non dura mai, Lena lo sa. Lena sa che tutto ciò da cui si lascia toccare può ferirla. Lena sa anche che solo ciò da cui si lascia toccare può ferirla. Per questo quando Roman e Vanda decidono di adottarla, la ragazzina si presenta come un muro impenetrabile. Nessuna emozione, nessuna reazione, nessun coinvolgimento emotivo. Nessuna simpatia per la nuova mamma e il nuovo papà, anche se in fondo sembrano brave persone. Eppure non è facile resistere all’energia travolgente della nuova tribù in cui viene catapultata: il piccolo Okkio, con i suoi strafalcioni linguistici; l’infaticabile Pepe, una zazzera di capelli rossi e un’irrefrenabile energia; la generosa, dirompente, vitalissima Piuma; Memory, dalle conoscenze enciclopediche, e Arnold, prigioniero di un segreto inconfessabile e ossessionato dalla ginnastica.
Nonostante qualche involontario cedimento, Lena resiste, ripara subitaneamente ogni crepa in grado di incrinare la barriera opaca di cui si è circondata. D’altronde la ragazzina non è sola, possiede anzi un dono: può comunicare con gli oggetti, ascoltare le loro storie, fruire della loro compagnia e delle loro chiacchiere talvolta deliranti. Questo è fonte di rassicurazione, ma anche di ulteriore isolamento.